Caro amico, o amica, che mi leggi dal futuro,
in questo Spiraglio voglio parlarti dell’incresciosa retorica imperante dell’epoca in cui vivo: sto parlando della retorica del consumo, secondo la quale noi, esseri umani dell’anno 2021, verremmo definiti “consumatori“.
Cosa dici? Mi chiedi se sto scherzando?
Mi piacerebbe, invece, è proprio così.
La retorica del consumo considera la sovraproduzione di beni, lo spreco e lo sfruttamento delle materie prime e delle risorse naturali un pregio, qualcosa di cui andare fieri ed essere felici.
Come? Mi stai dicendo che i problemi che vivete nel futuro sono dovuti proprio a questo atteggiamento?
Lo so, caro futuribile amico, o amica, è proprio per questo che sto scrivendo questo articolo: perché sarà solo un timido tentativo di cambiare le cose, di instillare un dubbio nelle abitudini di chi consuma, la classica goccia nell’oceano, insomma, ma sarà pur sempre meglio di niente ?
Le parole sono importanti!

Eh sì, caro amico o amica del futuro, anch’io, come Nanni Moretti, ho sempre pensato che le parole sono importanti.
Ed è proprio per questo che trovo orripilante che qualcuno voglia definirci consumatori.
“Notizie allarmanti dall’economia: a luglio c’è stata una flessione dei consumi dello 0,9%” – recita il telegiornale – “Chiusura positiva per il trimestre in corso: ripresa dei consumi che fanno registrare un +1,2%”, e così via.
Insomma, consumare è una cosa bella e noi dovremmo andare fieri di essere dei consumatori che consumano cose.
Ma cosa significa “consumare”?
L’etimologia della parola riporta al concetto di compimento, di fine.
Secondo la Treccani significa “logorare, finire a poco a poco con l’uso”.
Dunque, definendoti “consumatore” ti stai auto-definendo come un “logoratore” delle cose.
E, intorno a te, la retorica che vuole farti indossare questo vestito semantico, cresce più rigogliosa che mai, assolvendoti se mai dovessi provare disagio al pensiero che stai logorando ciò che ti circonda e, anzi, incitandoti a farlo ancora di più.
E non importa se l’atto del consumo, del logorìo continuo, distrugge la natura, inquina il cielo e la terra e crea montagne di rifiuti: è cosa buona e giusta.
La retorica del consumo ha tantissime forme per giungere a permeare il nostro vocabolario: ad esempio, attraverso le celebri “associazioni di consumatori“: facendone parte vediamo tutelato il nostro diritto, appunto, a consumare, a logorare a poco a poco le cose, a finirle.
Eh, lo so caro amico del futuro, so che ci stai chiedendo: “ma vi siete resi conto che le risorse, sul nostro pianeta, non sono infinite?”
La formica e la cicala

Sì, la storia della formica e della cicala si ripete.
Noi siamo le cicale che sprecano, sfruttano e distruggono, costringendo le formichine del futuro a rimboccarsi le maniche per rimediare ai nostri danni.
Ma ci sono almeno due problemi.
Il primo è che la formica del futuro non sarà l’ipotetica persona a cui mi sto rivolgendo mentre scrivo questo Spiraglio: sarai, con tutta probabilità, tu stesso, mio caro amico o amica.
L’aumento dei consumi, infatti, procede di pari passo con l’aumento della popolazione.
Il che significa che non ci sono solo persone che consumano tanto, e a cui viene inculcata l’idea che consumare tanto sia qualcosa di “bello”; significa anche che, ogni anno, ci sono (secondo Wikipedia) la bellezza di 75 milioni di nuovi individui – in più a quelli già esistenti – che si preparano anch’essi a iniziare a consumare.
Ma avevo detto che i problemi sono due.
Sì, perché, nella favola di Esopo, in realtà, la cicala non logorava né distruggeva nulla: si limitava a oziare e se la godeva.
E il problema è che la maggior parte dei cosiddetti “consumatori”, non se la gode affatto.
Da una ventina d’anni a questa parte, le persone hanno iniziato a comprare a rate qualsiasi genere di bene di consumo, ricorrendo ai prestiti e, dunque, indebitandosi o spendendo più di quanto posseggono in realtà.
Tutto questo non genera affatto – come ci viene costantemente ripetuto – “benessere”, bensì scontento, preoccupazioni per il futuro (eh già, caro amico o amica dell’avvenire, sono preoccupati, ma purtroppo solo per loro stessi…) e ansia.
p.s. ✨ ti piacerebbe uno Spiraglio dedicato in modo specifico al tema delle rate, dei prestiti, del debito e delle insidie che si annidano in tutto ciò?
Se sì, fammelo sapere con un commento perché ne potrei scrivere uno ?
Le alternative?

Le alternative ci sono.
Questo, intanto, è un ottimo punto di partenza ?
Una prima alternativa è quella che ti mostro qui sopra, e si chiama autoproduzione.
Si può autoprodurre cibo, si possono autoprodurre saponi e, se andiamo a indagare bene bene, possiamo produrci da soli veramente tantissimi beni che normalmente, siamo soliti comprare e consumare.
Ma il messaggio che vorrei farti arrivare, caro lettore o lettrice, e ora non mi rivolgo più a quello del futuro, ma proprio a te che mi leggi, non è questo.
Per oggi, per questo momento, vorrei semplicemente che riflettessimo su queste definizioni di “consumo” e “consumatore” che usiamo con tanta nonchalance.
Personalmente, ad esempio, la mia vita è cambiata in meglio da quando ho un orto.
Se andiamo a vedere le quantità di cibo prodotto, beh, non sono certo quantità industriali. Non sono neppure poche, a dire il vero. Sicuramente in un anno ho aiutato la terra a produrre alcuni quintali di cibo, ma soprattutto ne ho ricavato tantissima soddisfazione e un senso di gratificazione senza uguali.
Consumare non rende quasi mai veramente felici.
Quando acquisti un prodotto, un cellulare nuovo, un nuovo vestito, persino la nuova auto, la soddisfazione è intensa, ma caduca: non dura. Sei felice il primo giorno, lo sei un poco meno il secondo, lo sei un pizzico il terzo.
Ma dal quarto giorno già quell’oggetto non ti interessa più.
E sei già a caccia di un nuovo prodotto da acquistare, da fare tuo, da consumare.
E le alternative, come ti anticipavo, ci sono, e vanno ben al di là di farsi un orto.
Si può entrare in circuiti di compra-vendita, dando ai beni usati una seconda vita.
Si può entrare in gruppi di prestito o condivisione, quando non è possibile in quelli in cui i beni vengono noleggiati, ricavano, in tal modo, anche la nascita di nuovi rapporti e amicizie.
Si può imparare a riparare oggetti, a rammendare vestiti, a riutilizzare prodotti apparentemente inutilizzabili.
Le soluzioni sono tantissime e, in effetti, non basterebbe un articolo per parlarne: ci vorrebbe, come minimo, un libro.
Però, per adesso, magari, può bastare mettere in dubbio questa precaria e dubbia identità di consumatori che ci è stata affibbiata.
Io non voglio essere un consumatore, un logoratore di cose e persone.
Preferisco essere un rigeneratore, qualcuno che dà la vita, non che la toglie. Qualcuno che non logora, ma che crea abbondanza e prosperità.
Ecco, voglio essere un “prosperitatore“.
E tu?
Come sempre, se lo Spiraglio ti è piaciuto e ti ha ispirato, lo puoi condividere.
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Un abbraccio pieno di spiragli di luce
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