Caro amico o amica,
ti ricordi della Colombia?
Se sei un habitué di Spiragli di Luce, credo proprio tu sappia di cosa sto parlando.
Ma se sei “nuovo”, qui, su queste pagine, beh…in Colombia…ho vissuto uno dei periodi più incredibili e meravigliosi della mia vita.
C’è, però, una storia che non ho mai raccontato.
Riguarda il perché sono andato in Colombia.
E il perché ha a che fare con una ragazza.
Sì, ci sono andato per amore, perché mi ero perdutamente innamorato.
Ma dato che non ho mai raccontato come l’ho conosciuta, e aggiungendo che la storia di come la incontrai merita eccome di essere raccontata…beh…
…credo proprio che sia giunto il momento di farlo.
L’incontro
La storia che sto per raccontarti ha una data, e un luogo.
La data, a esser sincero, non la ricordo con esattezza, ma so che accadde intorno al 12 ottobre 2012.
E così, guarda un po’, senza averlo calcolato, né previsto, da quel 12/10/2012 mi ritrovo proprio oggi 21/10/2021 a raccontarti questa storia.
Non c’è niente da fare: deve essere proprio arrivato il momento giusto 😉
Ma dicevo che la storia ha anche un luogo, e il luogo è la stazione di Bologna.
Abbiamo, dunque, un quando, abbiamo un dove, ci manca il come.
Il come è la bicicletta. Sì, la bici Legnano, un tempo appartenente a mio padre, con cui ero solito avventurarmi per i vicoletti di Bologna, saltare giù per i gradini mettendo a dura prova la sua resistenza, e passare sotto ai portici nei giorni di pioggia, sfidando l’ira di passanti e municipale.
Ma non perdiamo il focus, caro lettore o lettrice, perché abbiamo una storia da raccontare, e…beh…ti assicuro che non è una storia qualsiasi.
Abbiamo quando, dove e come.
Ci manca il perché.
Perché?
Perché la incontrai?
C’è, sicuramente, un perché ancestrale, profondo, che compresi solo una volta giunto in Colombia. Ma parlarti di quel perché sarebbe prematuro, per ora.
Ti parlerò solo del perché del nostro incontro, in una Bologna d’autunno di tanti anni fa.
Ebbene, seguimi passo passo, da qui in poi, perché entriamo nel vivo della storia.
La storia inzia la sera prima, durante un concerto che si svolse all’Arterìa di Bologna.
Il concerto era così bello, l’atmosfera così piena d’entusiasmo, i miei amici ed io ci stavamo divertendo così tanto, che l’idea di tornare a casa, non ci passò neppure per la testa.
Ridendo e scherzando, andò a finire che rientrai alle 4 del mattino.
Ancora inebriato dalla serata, prima di andare a letto, decisi di accendere il computer e aprire Facebook. A quell’ora di notte, in chat non c’era nessuno. Anzi, no. C’era una persona. Una sola persona, sveglia, come me.
Una ragazza.
Ovviamente, era lei.
Pensai subito che, in fondo, per lei era normale.
“È colombiana” – pensai – “e in Colombia sono 6 ore indietro”. Insomma, ci stava che fosse sveglia e in chat.
Ma questo, caro lettore o lettrice, è solo l’inizio.
Quindi seguimi bene, da qui in poi, perché è da questo momento che arrivano le sincronicità.
Sincronicità
All’epoca, sul profilo, avevo scritto di esser nato a “Macondo“, il paese in cui Gabriel Garcia Marquez aveva ambientato i suoi bellissimi romanzi, primo fra tutti Cent’anni di solitudine.
Così, per giocare un po’, iniziai a scriverle che ero colombiano anch’io.
E che, appunto, ero nato a Macondo.
Macondo, a dire il vero, con questo nome, non esiste, ma il pueblo esiste eccome. Si chiama Aracataca ed è una città della costa dei caraibi colombiani, ma questa è, in fondo, una divagazione, quindi torniamo a quella strana notte..
La conversazione stava prendendo una bella piega. Una piega piena, appunto, di sincronicità.
Come facevano un ragazzo e una ragazza, lui italiano, lei colombiana, ad essere “amici” su Facebook?
La risposta a questa domanda ha un nome e un cognome, e questo nome e questo cognome sono, nientepocodimeno che Fabrizio De André.
Appassionato da sempre del grande cantautore genovese, avevo creato, qualche anno prima, una tribute band chiamata Mille papaveri rossi.
Ebbene, la vita volle che dall’altra parte dell’oceano,vi fosse una ragazza colombiana, ma appassionata di cultura italiana, appassionata al punto di andare a studiare italiano in uno degli istituti della capitale, Bogotà. E appassionarsi, poi, a De André. E studiare i suoi testi.
E cercare se c’era qualcuno, in Italia, che cantava le sue canzoni. E trovare, appunto, i Mille papaveri rossi.
Infine, scoprire che questo gruppo aveva un cantante.
E chiedermi l’amicizia.
Tre anni di silenzio
Ho sempre notato che gli eventi importanti della vita, quelli che sbloccano situazioni, o che aprono porte, sono ammantati di un certo mistero, e di una serie di circostanze a dir poco particolari, quando non rocambolesche.
Nel nostro caso, ad esempio, scoprii che la richiesta d’amicizia risaliva al 2009.
Ci furono, dunque, 3 anni di silenzio, in cui non parlammo mai, in nessun modo.
Tieni a mente questo particolare, caro lettore, o lettrice, perché si rivelerà importante tra pochissimo.
Quella notte, dunque, giungendo in chat alle 4 del mattino, e trovando solo lei, sciolsi gli indugi e le rivolsi la parola, facendo finta di essere colombiano e di esser nato nel paese del colonnello Aureliano Buendìa e di Remedios la bella.
Questa la situazione. Ma il bello deve ancora arrivare.
E il bello – non che fino a quel punto, a dire il vero, bello non fosse – arrivò quando lei mi disse:
“ma lo sai che sono in Italia?”
Aspetta, aspetta, aspetta un attimo.
Lessi e rilessi quella frase almeno tre o quattro volte.
In che senso è in Italia? Mi starà prendendo in giro? Avrà capito che non sono colombiano e vorrà rendermi la pariglia?
Ci sono cose, nella vita, che sono altamente improbabili.
Nel mondo ci sono 195 paesi. Dunque, se non era in Colombia, c’era 1 probabilità su 194 che si trovasse in Italia.
Ma le cose cose improbabili, talvolta, sono proprio quelle che si avverano sul serio.
Così, scoprii che lei era in Italia per davvero.
Ma che ci faceva, allora, sveglia a quell’ora?
Si stava preparando per prendere un treno. Un treno diretto a Bari. Un treno diretto a Bari e che sarebbe partito da Verona. Un treno diretto a Bari che sarebbe partito da Verona tra un’ora, e che avrebbe fatto tappa a Bologna.
Non stavo parlando con una ragazza colombiana, appassionata di lingua italiana e di De André, come me, che era in Colombia.
Stavo parlando con una ragazza colombiana, appassionata di lingua italiana e di De André, come me, che era in Italia e che nel giro di un paio d’ore sarebbe passata a un chilometro da casa mia.
Capito?
Guardo la sveglia
L’ora, solennemente e digitalmente stampata di fronte a me, recitava: 5:30 a.m.
Alle 6 lei avrebbe preso il treno. Alle 7:30, o giù di lì, sarebbe arrivata alla stazione di Bologna.
Sarebbe scesa dal treno, avrebbe avuto mezz’ora di tempo per aspettare il treno per Bari.
Ragazzi, in quella mezz’ora si gioca la mia vita.
Intuendo che questa frase, scritta qui sopra, era vera, le chiesi se potevamo conoscerci. Lei disse di sì. La salutai e mi misi a dormire. Dormii esattamente un’ora.
Alle sette in punto, fresco come una rosa, e pimpante come se avessi dormito otto ore filate, la sveglia fece sentire il suo trillo, io mi scaraventai giù dal letto. Feci la doccia, salutai frettolosamente i miei coinquilini e i punti interrogativi stampati sui loro volti, e mi diressi giù, nel parcheggio del condominio di via Mazzini, dove vivevo.
Presi la mitica Legnano un tempo di Jean Paul, e ora mia, e mi diressi verso la stazione.
Ma saremo riusciti, poi, a incontrarci?
Ma soprattutto, se anche ci fossimo riusciti, cosa mai potrà accadere in mezz’ora, tra due sconosciuti, e per di più mentre stai sul binario di una stazione, aspettando una coincidenza?
Beh, caro amico o amica, probabilmente non fu una coincidenza che lei dovesse aspettare una coincidenza!
(😁 sorrisetto soddisfatto per il gioco di parole 😁)
Ma per sapere come andrà a finire, ahimè, dovrai aspettare la seconda puntata.
Questa, oggi, è già arrivata a buon punto. E sai perché l’ho pubblicata? Perché esattamente oggi, però sette anni fa, ovvero il 23 ottobre 2014, nasceva Spiragli di Luce.
Mi è sembrato un buon modo per festeggiare il compleanno.
FINE PRIMA PARTE
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