Non è facile scrivere un post su come affrontare la morte. È una vera e propria sfida. Forse, una delle più difficili da quando il blog è nato. Però me lo avete chiesto in tanti e, dunque, ci ho provato. Col cuore in mano.
“Come affrontare la morte”? Siete in tanti ad aver rivolto questa domanda, la cui risposta, come vedremo, non è affatto immediata.
La morte di una persona cara, infatti, è sempre un grande shock, persino per le Anime più avanzate sul sentiero spirituale. La sfida è stata resa ancora più impegnativa dalla consapevolezza che su questa pagina, nelle prossime settimane, “approderanno” anche persone che stanno affrontando un lutto.
Non vi so dire, ora, se queste riflessioni potranno infondere almeno un po’ di speranza nei vostri cuori, voglio però che sappiate che essere qui a parlarne, insieme, è già una vittoria. Significa, infatti, infrangere un muro e superare alcune barriere.
In primis, quella di cui ti parlerò nel prossimo paragrafo: la barriera del silenzio.
Il grande tabù
Qualche tempo fa Merj ci ha raccontato di un’applicazione per cellulare, il cui scopo è ricordare, diverse al giorno, che dobbiamo morire. Nell’intenzione dei creatori, essa ha lo scopo di infrangere il muro del silenzio che ammanta questa tematica.
La morte, infatti, è un tabù.
O non se ne parla, o se ne parla frettolosamente, con imbarazzo. A volte ci si scherza (persino in modo cinico) e questa, in definitiva, non è altro che un’ulteriore modalità per evadere l’argomento, anziché affrontarlo.
Non tutte le culture, però, la vivono come un tabù; ci sono popolazioni che, interpretandola come una liberazione dai limiti del corpo e un passaggio verso la dimensione spirituale della vita, la vivono, persino, con felicità.
La filosofia che ha ispirato la “app”, ad esempio, arriva dal Bhutan, paese dell’Himalaya ritenuto uno dei più felici al mondo.
Leggi anche: “Una app che, ricordandoti che devi morire, risveglia in te la felicità.
Non è certo immediato affrontare la morte serenamente; esistono, però, delle chiavi che dischiudono le porte di una nuova visione di questo passaggio, a cui tutti possiamo connetterci.
Il mio rapporto con la morte
Quando avevo 14 anni mio fratello lasciò il corpo fisico.
Accadde a causa di un incidente e fu un momento tremendo per me e per la mia famiglia. Dopo tanti anni, oggi, sono felice di parlare di lui, per la prima volta, qui sul blog. Il suo nome è Ettore, era ad un passo dalla laurea in giurisprudenza, amava la fotografia e la montagna.
Mi sarebbe piaciuto condividere con lui gli avvenimenti di questi ultimi anni, tra cui (perché no!), anche la nascita di Spiragli di Luce. Eppure…sai cosa ti dico? Sono certo che, dalla dimensione in cui si trova, non si è perso neanche uno dei miei articoli!
Questo può essere un ottimo punto di partenza per una riflessione: hai mai pensato che, magari, chi muore non ci lascia mai per davvero?
Tantissime volte ho avuto la sensazione vivida che fosse accanto a me, e so che questa sensazione l’hanno provata milioni di persone in tutto il mondo.
Non è una prova, ma è un ottimo indizio di quello che i maestri ci hanno sempre detto: che il corpo muore, ma l’anima no. Prosegue il suo viaggio.
Per superare la paura della morte, e viverla in modo diverso, abbiamo bisogno, innanzitutto, di sviluppare un diversoatteggiamentonei confronti della vita.
L’imbarazzo quando si parla della morte
Quando mio fratello ci lasciò, al dolore per la sua assenza, se ne aggiunse uno più sottile, dato che fatto che nessuno ne volesse parlare.
Se ne parlavo io, per primo, mi scontravo con un muro di gomma, in cui i discorsi svicolavano il più velocemente possibile verso altri argomenti. E a me (che ero poco più che quattordicenne), pareva una vera e propria ingiustizia!
“Ma come” – pensavo – “lui non c’è più…e non ne posso neppure parlare?!”
Desideravo ricordarlo e mi sarebbe piaciuto farlo in modo sereno. Parlare delle sue passioni, delle sue foto, delle gare di atletica e dei bei momenti vissuti insieme. Ma non ci riuscivo perché, appunto, tutti sviavano il discorso.
Poi arrivò un bel pomeriggio d’estate.
Un pomeriggio in cui un amico di nome Nicola, mio coetaneo, mi chiese come stessi vivendo la sua assenza. Lo chiese così, in modo gentile ma diretto, senza tanti “fronzoli”.
Non credevo alle mie orecchie! Un ragazzino poco più che quattordicenne affrontava senza timore un discorso che faceva fuggire persino gli adulti. Ne parlammo a lungo, e quell’esperienza mi rasserenò profondamente.
Quel giorno due adolescenti (forse senza saperlo…), sconfissero uno dei tabù più potenti del mondo in cui viviamo. E lo fecero per celebrare la vita.
Ricordare chi non è più con noi non deve necessariamente produrre silenzi e imbarazzo; può essere, invece, una meravigliosa occasione per entrare più in profondità e in intimità, tanto con noi stessi, quanto con gli altri. E questa è già un’ottima modalità per affrontare la morte in modo più consapevole e sereno.
Sarò sempre grato a Nicola per il coraggio e l’amicizia che dimostrò quel pomeriggio.
La morte è un passaggio
In astrologia, ma anche nei tarocchi, ci sono simboli che si riferiscono alla morte: Plutone, il segno dello Scorpione e la stessa carta della morte negli arcani maggiori.
Essi non indicano né predicono (come erroneamente si potrebbe pensare), la morte fisica di qualcuno: sono indice di trasformazione e rigenerazione.
Disse Fabrizio De André:
“ciascuno di noi, mentre vive, si imbatte in vari tipi di morte prima di arrivare a “quella vera”: la morte morale, psicologica, mentale, la perdita del lavoro o di un amico.”
Questo ci può ispirare a considerare la morte in un modo nuovo: un processo trasformativo, di cambiamento ed evoluzione.
Cambiando lavoro sono “morto” come ingegnere per diventare musicista; qualche anno dopo, in Colombia, sono nuovamente morto a me stesso per divenire la persona che vedete e leggete attualmente.
L’estate nasce dalla morte della primavera così come il giorno dalla morte della notte; la farfalla dalla morte della crisalide così come il germoglio dalla morte del seme.
L’emisfero sinistro del nostro cervello fa fatica a comprenderlo, ma nessuno muore per davvero; la vita è un susseguirsi di cicli, un costante fluire di infiniti mutamenti.
L’anima e il processo incarnatorio
Quando le condizioni perfette per la vita sopraggiungono, l’Anima si incarna in un corpo fisico.
Lo spermatozoo, fecondando l’ovulo, dà il “la” a nove mesi di meravigliosa danza della vita, passati i quali – quando gli archetipi si trovano nella posizione perfettamente sincronica (e scelta dall’anima) nel nostro tema natale – il viaggio della personalità sul pianeta Terra ha finalmente inizio.
Questo processo di incarnazione permette all’Anima di soffrire, divertirsi, ridere, piangere, esprimersi, amare e sognare. Le permette, cioè, di vivere un’esperienza gravida di lezioni da apprendere.
La vita è una lunga scuola in cui sperimentiamo esami, promozioni, bocciature e ricreazioni; col dovuto impegno, il passaggio ad un livello più alto di istruzione.
Ecco perché, poco fa, ho scritto che per comprendere come affrontare la morte, prima, abbiamo bisogno di saper affrontare la vita, e conoscere le ragioni per cui ci troviamo a viverla.
Leggi anche: “Il cammino dell’Anima sul Pianeta Terra”
La personalità si identifica con una serie di ruoli (medico, ingegnere, padre, madre, figlio, ecc.) e condizioni (ricco, povero, malato, sano, italiano, ecc.) che, gradualmente, fanno perdere di vista chi sei veramente.
Dimentichi la tua essenza spirituale e credi, erroneamente, di essere il ruolo che ricopri.
Ecco perché, alcune mogli, seguono nell’aldilà gli anziani mariti morti pochi mesi prima, ed ecco anche perché c’è chi, perso il lavoro, si suicida. La morte del ruolo coincide con la morte vera e propria.
Ma i ruoli sono condizioni temporanee e mutevoli, ben distanti dalla nostra natura spirituale e divina. Connetterci con quest’ultima è possibile, ma bisogna prima destarsi dal sonno delle identificazioni.
La morte, fa paura solo se il sogno della vita è vissuto in modo inconsapevole. Quanto più la coscienza si sveglia, tanto più le differenze tra morte e vita iniziano ad assottigliarsi fino a svanire.
Quindi, la morte non esiste?
Anche se questa frase “va di moda”, non è affatto corretta: così come esiste la vita, esiste certamente anche la morte.
Certo, a livello spirituale esiste solo la vita. Ma quanto riesci a percepire – concretamente – questa verità?
Se essa viene solo “accarezzata” mentalmente (e non vissuta), il rischio è quello di prendere in giro se stessi, e ritrovarsi, poi, a subire durissimi contraccolpi, se una persona a cui vogliamo bene ci dovesse lasciare.
Neppure un elevato livello di avanzamento spirituale, infatti, garantisce di “non soffrire” per la morte di una persona cara. Del resto, perché dovrebbe? La sofferenza non è essa stessa parte della creazione?
Lo sguardo attonito di Paramahansa Yogananda ai funerali del suo guru (documentato nel bellissimo film “Awake“), ci mostra come persino un grande maestro possa soffrire tremendamente per la morte di una persona cara.
Riflettere su come affrontare la morte, pertanto, non consiste, dunque, solo nel liberarsi dell’identificazione col mondo della materia ma, anche, di quelle col mondo dello spirito.
Negare l’esistenza della morte sarebbe come negare l’esistenza di un albero o del sole. Esiste, ma non è tutto. È vero, infatti che la vita continua, sempre, ma sotto un’altra forma.
Il secondo incontro con la morte
Dopo mio fratello, tanti anni dopo, anche mio padre lasciò il corpo.
Avevo già iniziato a camminare sul sentiero spirituale e vissi questo “secondo appuntamento” con la morte in modo diverso rispetto al primo. Quando anche mia nonna materna ci lasciò, qualche anno prima, il prete pronunciò alcune parole che rimasero impresse nella mia mente e nel mio cuore, per sempre.
“Gli antichi cristiani, che erano molto più credenti di noi” – disse – “chiamavano la morte dies natalis: il giorno della nascita”. Come a dire: un viaggio finisce, ma uno ancora più luminoso inizia.
Quel parroco, una persona di cuore, conosceva molto bene la mia nonna (da molti più anni di me) ed era indubbiamente provato lui stesso, mentre celebrava la messa. Eppure, pronunciò quella frase con un grande sorriso, dando a tutti i fedeli un messaggio di grande speranza.
Quel giorno non potevo immaginarlo, eppure ascoltare quelle semplici ma generosissime parole mi ispirò – forse la prima volta – a sviluppare idee nuove su come sia possibile affrontare la morte con un nuovo atteggiamento mentale ed emozionale.
Quando il mio babbo lasciò il corpo, infatti, quelle parole risuonarono in me in modo molto profondo; un messaggio che non mancò di far sentire, seppur da molto lontano, la sua potentissima eco.
Questo non significa non sentire la mancanza o il dolore (non sarebbe umano), ma percepire che queste emozioni si possono accompagnare da un profondo senso di gratitudine per ciò che si è vissuto insieme.
Gratitudine e serenità che mai mi hanno abbandonato.
Grazie babbo!
Affrontare la morte: qualche conclusione…
Anche se una “ricetta” non esiste, è possibile affrontare la morte con serenità se impariamo ad affrontare la vita con la stessa attitudine.
Rimuovere i tabù, parlarne apertamente, alleggerire le identificazioni ed aprirsi ad una visione spirituale della vita stessa, sono alcuni passi da compiere, per affrontarla più serenamente.
La morte è un punto di passaggio, fondamentale, nel grande ciclo della creazione e della vita ed è proprio per questo che San Francesco arrivò a definirla “sorella” nel meraviglioso Cantico delle creature. Sta ad ognuno di noi imparare a viverlo nel modo più sereno possibile.
E questo, mio caro lettore e mia cara lettrice, è quasi tutto.
Quasi, perché la morte rischiò di arrivare anche per me, un certo giorno, mentre stavo viaggiando verso Roma. Se sono qui a scrivere significa, evidentemente, che il mio momento ancora non era arrivato e se vuoi sapere come andò, quella (miracolosa) storia, la racconto in questo Spiraglio:
Grazie e arrivederci al prossimo Spiraglio…e prima di salutarci, alcuni libri, articoli e film per approfondire…
Risorse a approfondimenti (dal web e non)
Sulla tematica di come affrontare la morte è stato detto, scritto e documentato tanto. Oltre i libri che ho inserito qui sopra, tra gli articoli facilmente reperibili in rete, ti riporto:
- questo post di “Lifegate”, che mette l’accento, appunto, su quanto la morte sia un tabù
- Anche se affronta la spiritualità da una prospettiva distinta dalla mia, trovo interessante anche questo di “papaboys.org”, che elenca, appunto, 10 consigli per affrontare un lutto
E tra i film?
I suggerimenti sarebbero tantissimi (e magari ci scriverò uno spiraglio in futuro), ma sicuramente credo che uno meraviglioso sia “La fine è il mio inizio” (2010), che racconta la storia di Tiziano Terzani e del figlio Folco. Trovi qui sotto il trailer
Con questo è tutto se questo Spiraglio dedicato a come affrontare la morte è stato di tuo gradimento, sentiti libero di condividerlo usando i pulsanti qui sotto.
Aiuterai chi, magari, ha bisogno di leggere parole come queste.
Hai visto il film “Nosso Lar”? Potrebbe piacerti. A me piacciono molto i film che parlano di reincarnazione.