Secondo spiraglio dedicato alla nostra mente ed alle nostre emozioni. Le idee di Gurdjieff e la meccanicità umana
Cari amico e cara amica,
eccoci al secondo dei quattro spiragli che ho dedicato alle dinamiche di mente e cuore. Nell’ultimo post troverai anche alcuni esercizi di presenza che si possono fare ogni giorno, per risvegliare in noi la consapevolezza.
Ti suggerisco però di non saltare all’ultimo e di andare per ordine, e se hai perso il primo lo trovi qui sotto
Leggi anche: “Come funzionano i nostri pensieri?”
Sei pronto? Sei Pronta? Partiamo ??
Quanto pensi, sei sicuro di essere tu a farlo?
Sono consapevole del fatto che un inizio come questo può risultare traumatico, ma ti chiedo di essere paziente, la domanda è necessaria!
Alcuni, di fronte ad un quesito del genere, balzeranno sulla sedia, ma so che altri, già pratici del lavoro su di sé, intuiranno a cosa mi riferisco.
Questa domanda ha lo scopo di metterci di fronte a un grosso ostacolo nel nostro percorso di crescita: e cioè il fatto di ritenerci liberi, coscienti e capaci di decidere che corso deve prendere la nostra vita.
Ovviamente queste capacità esistono eccome, ma in uno stato “ordinario” di coscienza (senza, cioè, aver mai svolto un lavoro su noi stessi) sono latenti nel nostro potenziale.
Percepisci i tuoi pensieri, dentro di te, nella tua mente, e questo ti fa credere di essere tu a crearli. E se non fosse così?
Proviamo a fare un parallelo con l’aria che respiri: diresti forse che è tua?
L’hai ispirata qualche secondo prima; il tuo corpo l’ha utilizzata ed ora espelle ciò non gli serve: si tratta di anidride carbonica, giusto? Ma non è “la tua” anidride carbonica, è semplicemente un composto chimico, risultante di un processo. Non ti appartiene.
Potrei dire lo stesso della tua pipì. È un liquido chiamato urea, in genere giallastro, che espelli dopo che i tuoi reni hanno assolto al loro dovere. Ma non ne vai fiero, giusto? Non credo che considereresti tua la pipi. Hai ingerito dell’acqua e il tuo corpo l’ha trasformata, questo è quanto.
Lo so, mi sto divertendo a scegliere esempi un po’ grotteschi, ma l’idea che vorrei trasmettere è questa: anche il cervello, come i polmoni ed i reni, è un organo.
E così come altri organi svolge il suo compito: fagocita impressioni, le mischia con idee, discorsi, libri, chiacchiere, film, ricordi ed infine espelle nuovi pensieri, un’elaborazione degli stimoli a cui è stato sottoposto.
Come scrissi in un passato spiraglio, se fossi nato in Malesia difficilmente ascolterei la stessa musica, vestirei, mi taglierei i capelli e mi divertirei come se fossi nato in Italia. È molto probabile quindi che penserei in modo diverso.
L’insegnamento di Gurdjieff e la Quarta Via
G. Gurdjieff definiva l’essere umano come una macchina che si comporta in modo automatico: crede di essere cosciente ma in realtà risponde meccanicamente a stimoli che arrivano dall’esterno.
Anche senza usare questi termini che suonano un po’ brutali credo che il caro George (grazie al quale ho iniziato il mio percorso di risveglio), avesse ragione.
G. Gurdjieff
Se vogliamo usare dei termini più “morbidi”, diciamo che non conosciamo ancora il nostro vero potenziale.
Una grande parte di esso è per ora “addormentato” a causa delle reazioni che abbiamo dovute all’ambiente in cui siamo cresciuti. Esempio:
in una certa giornata, mentre sto guidando, un tizio mi taglia la strada e mi fa rischiare un tamponamento. Si affianca, tira giù il finestrino e mi copre di insulti. È probabile che dentro di me inizi allora ad agitarsi qualcosa. Se sono una persona mite gli risponderò in modo controllato, se sono irascibile gli griderò dietro i peggiori improperi e se sono un criminale prenderò il cric per darglielo in testa. Ma al di là del tipo di persona che sono, in tutti l’impulso esterno (l’aggressione verbale) scatena in me qualcosa. Ovvero: non sono io a decidere che dentro di me si scateni, bensì accade.
Cosa succederebbe, però, se mi trovassi in un paese straniero?
Probabilmente non capirei gli insulti e vedrei solo una bocca che si muove emettendo strani suoni striduli; credo che non mi arrabbierei affatto per il solo fatto di veder muovere una bocca, giusto?
Ho la percezione di arrabbiarmi a causa dell’insulto ricevuto, ma in realtà è l’automatismo che è in me che la scatena: il meccanismo, creato negli anni, che ha fatto si la parola assumesse quel significato e che ad essa venisse collegata la rabbia.
Il vecchio e caro contare fino a dieci ha proprio lo scopo di rompere quest’associazione.
Perché sto insistendo tanto su questo punto?
Prima di rispondere alla domanda, ti chiedo solo un istante del tuo tempo per dare un mi piace a questo post. Proseguiamo subito dopo, grazie!
Insisto sul punto perché se sei capitato qui è probabile che tu abbia voglia di conoscerti e magari cambiare.
È probabile anche che vorresti far sparire le emozioni negative che turbano la tua vita. Allora, osservandole bene, potresti scoprire che anch’esse, come il qualcosa che nasceva nell’automobilista insultato, hanno una componente automatica.
Riconoscerlo ci aiuta a metterle da parte.
Ti lascio un approfondimento (ma prima finisci di leggere l’articolo!) riguardo uno dei più potenti esercizi trasmessi da Gurdjieff: Ricordo di sé: un esercizio di Presenza.
Una storia buddista
Si narra che ai tempi del Buddha, questi stesse passando nei pressi di un villaggio, accompagnato dai suoi discepoli. Giunto nella piazza, venne insultato da alcuni contadini. Uno dei suoi allievi si fece avanti e disse: “Maestro, dí solo una parola e li farò pentire amaramente!”
Buddha, però, non si scompose. Ignorò il discepolo e continuò a camminare come se nulla fosse accaduto.
Più tardi, giunta l’occasione di una sosta, il discepolo lo avvicinò e gli chiese come mai non gli avesse permesso di reagire.
Buddha disse: “che cosa faresti se ti regalassero qualcusa che non ti piace?”
E il discepolo rispose : “Penso che non accetteri il regalo”.
“Molto bene” – proseguí il Buddha – “allora mi vuoi spiegare perché prima hai accettato il regalo e poi lo volevi restituire?”
Il Buddha non “accetta il regalo” perché su di lui, libero dall’automatismo, quelle parole non hanno effetto. Il discepolo invece cade nella trappola della meccanicità, di quel “qualcosa” che lo spinge a reagire agli insulti.
Esempi di meccanicità
Ti racconto un altro esempio, più personale. Il fatto di chiamarmi Elvio, durante l’infanzia, mi procuró non poche difficoltà. Per un qualche strano meccanismo insito nella mente umana, tutto ciò che è diverso deve essere oggetto di scherno.
Questo fatto, però, mi permise anche di osservare un particolare “fenomeno”. Il 90% delle volte che mi presentavo, l’emerito sconosciuto, ascoltato il mio nome, ripeteva a pappagallo la seguente frase: “Elvio e le storie tese”, a cui seguiva una stupidissima risata. Si trattava, ovviamente, di lui che rideva da solo e io che lo guardavo nel peggiore dei modi possibili.
Ecco un esempio di meccanicità: tutti quanti dicevano la stessa, identica cosa.
Lo stesso accadde ad un amica di nome Flaminia: la chiamavano Aurelia, Appia, Casilina, ecc.
La domanda è: questi comportamenti sono coscienti? Sono frutto di una libera scelta? O, forse, più probabilmente, si dice la prima scemenza che, per associazione, passa per la mente?
Proseguiamo:
entro in una sala e mi siedo: in prima fila o in fondo? In base a cosa scelgo? Il fatto che a scuola i “secchioni” si sedessero davanti e i “casinisti” dietro, influisce sulla mia scelta? O magari, dopo aver interiorizzato questo schema, lo replico anche da adulto?
A me personalmente, il fatto di essermi seduto in un certo posto, su un autobus, un certo giorno in Colombia, mi fece conoscere la mia attuale compagna. Capisci le conseguenze nella realtà quotidiana di certi schemi inconsci?
Pensa ora agli automobilisti: com’è possibile che in una certa città guidino tutti in modo simile? Hanno imparato tutti quanti nella stessa autoscuola? O forse imitano senza rendersene conto il modo di guidare degli altri?
E le ragazze che quest’inverno escono di casa con le caviglie scoperte nonostante il freddo cane, davvero amano il “risvoltino” ai pantaloni? Oppure, anche loro, reagiscono a quel “qualcosa” di interiore che dice che così “piacerai di più”?
Com’è possibile, infine, che un’intera generazione di padri creda in un valore e un’intera generazione di figli non ci creda più? Non è che per caso ognuna di esse stia in realtà delegando meccanicamente le proprie opinioni a quelle della maggioranza?
Se ti chiedessi se sei d’accordo col fatto che le donne possano votare, ti metteresti a ridere. Eppure, se fosti nato nel 1800 sei proprio sicuro che l’avresti pensata allo stesso modo?
I nostri pensieri non sono i nostri.
Proprio così. In realtà, neppure le nostre emozioni lo sono. Potrebbe sembrare un male, ma non lo è.
Perché quando ci sentiamo sommersi dalla tristezza, dalla rabbia o dall’ansia, possiamo ricordarci che tutte queste cose non ci appartengono: “passano” dentro di noi, ma così come sono arrivate se ne andranno.
E, a proposito – aggiornamento 2017 – se vuoi sapere qualcosa di più sull’emozione della rabbia, le ho dedicato questo spiraglio: Gestire la rabbia: suggerimenti pratici per riuscirci.
Per proseguire invece la lettura nel terzo spiraglio di questa serie, lo trovi qui: Un mostriciattolo chiamato ego.
Grazie e arrivederci al prossimo spiraglio
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