Tre mesi in Colombia, dopo le difficoltà dell’inizio narrate nello scorso spiraglio ho deciso di mettermi in marcia. E, come era prevedibile, sono successe cose inaspettate e mirabolanti…
Ciao a tutti e benvenuti a questa seconda puntata sui tre mesi che ho passato in Colombia, in realtà il mio secondo viaggio nel paese latino-americano, dopo i nove meravigliosi mesi che cambiarono la mia vita per sempre.
Chi si fosse perso la prima parte, la può leggere qui: Tre mesi dall’oscurità alla luce (L’oscurità).
Questo sarà un post dedicato alle buone notizie, quindi, partiamo con la prima! Vi ricordate l’hard disk che si era rotto, a causa del quale credevo di aver perso immagini, foto e canzoni degli ultimi sei anni della mia vita? Beh, mi ero sbagliato. Infatti, lo portai da un tecnico e questo riuscì a recuperare tutto! Inoltre, in sostituzione del mio computer mi diedero un piccolo computerino ACER, che alla fine mi comprai. Sembra forse una notizia insignificante ma…non lo è: tenete a mente il computerino Acer…. a un certo punto di questa storia tornerà e….diventerà un tassello del puzzle curiosamente importante. Proseguiamo.
Una mattina andai nella libreria El Arcano di Bogotá, in cui, durante la mia prima esperienza in Colombia, avevo trovato tanti libri fondamentali per la mia crescita personale. Ne stavo sfogliando alcuni sulla meditazione ma, in fondo, mi dissi, ne avevo già letti un sacco….e così chiesi se avevano qualcosa sulla spiritualitá degli indigeni. Mi consegnarono un libro intitolato “Yagè” di uno scrittore colombiano all’epoca a me ignoto: Juan Camilo Medina. Il Yagè, o Ayahuasca ,è una pianta sacra per gli indigeni dell’Amazzonia che viene utilizzata, sotto la guida di uno sciamano, come rimedio per malattie fisiche o psichiche e per connettersi col mondo spirituale.
Non appena iniziai a leggere, s’impossessò di me un misto di stupore, commozione ed entusiasmo. Capii immediatamente che volevo incontrare lo scrittore ed intervistarlo. Quando iniziai a parlarne quasi tutti si stupivano, c’era persino chi mi disse che era impossibile… solo che ogni volta che ascolto la parola “impossibile” mi ricordo del seguito di Alice nel paese delle meraviglie, quando la regina dice: “da giovane riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione“.
…se lei riusciva a crederne ben sei, possibile che io non sarei riuscito a crederne possibile nemmeno una?
E fu così che partii per un viaggio…. senza sapere che stavo partendo per un viaggio. Ecco la mappa!
Andai a Villa de Leyva un sabato, con l’idea di fermarmi due giorni: il lunedì a Bogotá la scuola di Kung fu faceva lezione di combattimento e non volevo perdermela. Ciò nonostante, proprio quel sabato sera, accadde una cosa che mi fece cambiare idea: anche se sono musicista non ho mai suonato per strada. Ne ho avuto sempre il desiderio ma mi sono pure “vergognato” a farlo, ho sempre avuto un po’ di timore. Quella sera, invece, senza pensarci troppo imbracciai la mia chitarra e andai in piazza. Iniziai a suonare, molto naturalmente, le persone si avvicinavano e ascoltavano, alcuni si sedevano e volevano chiacchierare…fu bellissimo. Non chiesi soldi ma me li diedero comunque. E conobbi pure un sacco di persone. Un ragazzo colombiano, di Bucaramanga, si sedette al mio fianco tra una canzone e l’altra e mi raccontò il viaggio che stava facendo in moto, mi raccontò tutto, pieno di entusiasmo. Perché proprio a me…chi lo sa! Fatta sta che l’esperimento andò bene, non vedevo l’ora di rifarlo.
E il giorno dopo lo rifeci! Poi conobbi un ragazzo di Forlì, Gian Marco, che da sei mesi girava il sud America. La mattina del lunedì, mentre pensavo di rientrare in città, mi propose di andare al Museo paleontologico dove si trova un imponente scheletro di dinosauro. Quella mattina c’era un gran sole a Villa de Leyva, mentre a Bogotá, pensai, ce ne sarebbe stato meno. Inoltre, tra me e il museo c’era un’oretta di bici in mezzo alla natura, mentre tra me e Bogotá c’erano quattro ore di traffico.
Che fare: Bogotá o dinosauro?
Dinosauro, ovviamente!
E mentre andavamo verso il museo Gian Marco, spontaneamente, e senza che gli avessi raccontato del libro, mi disse che gli avevano parlato dell’Ayahuasca e che i racconti sui rituali lo avevano affascinato. Fu curioso ascoltare quel discorso in quella circostanza, mi fece pensare. Dato che ormai ero in possesso del numero dello scrittore, mi decisi a chiamarlo. Rimanemmo al telefono per più di un’ora, conversando di tutto e ridendo a crepapelle e così presi la decisione: sarei andato a Neiva. Nel frattempo mi avevano però invitato a San Gil, che si trova esattamente in direzione opposta rispetto a Neiva (di San Gil ne parlo in questo articolo) e dato che avevo voglia di andare…andai.
Partii giovedì mattina, 23 aprile. Presi l’autobus per Arcabuco, 24 km di strada sterrata che percorremmo in circa due ore. Arrivai al paese e presi un caffè pensando: tanto sicuramente chissà quando passerà il prossimo autobus…e ovviamente questo arrivò mentre la cameriera non aveva ancora finito di versare il caffè nella tazza.
Allora dici aspetta, prendi lo zaino, corri, parli con l’autista, gli gridi di aspettarti, torni dentro, afferri il caffè, prendi la chitarra, ti porti il caffè sull’autobus, versi il caffè sulla chitarra, versi la chitarra sopra…no, dai, mi sto confondendo, insomma…salii su questo benedetto autobus ed andai a San Gil. Arrivato nella bella cittadina, mi colse una singolare allegria. Erano ormai lontani i tempi della Perseverancia, del lavoro agognato e non trovato a Bogotá e di tutte le altre preoccupazioni reali o fittizie che fossero. Ero lì, in questa splendida città fluviale dall’estate perenne e trovai pure un bar dove facevano l’espresso. Bevendomene uno, scrissi sul mio computerino ACER nuovo di zecca (…tenete a mente il computerino ACER!) questo Spiraglio: Chi paga il copyright alla natura?
Ero pervaso da una bellissima energia. La mia amica Johana mi aiutò a comprare il biglietto per Neiva e così, zac! La mattina del lunedì mi diressi a Bucaramanga, da qui in aereo a Bogotá e da Bogotá a Neiva. All’aeroporto, ad aspettarmi, lo scrittore Juan Camilo Medina, con due caschi e la moto. Non solo si fece una splendida intervista ma passai in casa sua una settimana da sogno. Il racconto di quei bellissimi giorni lo trovate Cliccando qui. Dopo Neiva passai per il deserto della Tatacoa, Girardot e Melgar, per infine tornare a Bogotá. E non appena arrivato, feci il biglietto per l’Amazzonia.
Martedì 12 maggio alle sette di mattina l’aereo spiccò il volo. Le cose da dire sono tante e dopo 1200 parole già scritte credo non sia il caso di raccontare dettagliatamente la settimana passata nel polmone verde del pianeta. Ci tengo però ad anticipare una cosa: non appena la barca per Puerto Nariño (la la vera porta per la foresta vergine) mollò gli ormeggi, uno spettacolo mozzafiato si parò dinnanzi ai miei occhi increduli: il fiume si allargava a dismisura, al punto che l’altra riva diventava quasi difficile da scorgere. E non riuscivo a non pensare che, quella massa d’acqua, è vita.
E’ la vita del pianeta, delle piante, degli animali, è la vita stessa, persino la mia, ciò che mi permette di scrivere queste parole. Guardavo stupefatto quell’incredibile quantità di acqua dolce, guardavo gli alberi alti decine di metri che si affacciavano sulle sponde e da li si estendevano a perdita d’occhio per chilometri e chilometri, guardavo gli uccelli, i pesci e capivo, sentivo, intuivo, fortemente, dentro di me, che tutto quell’enorme miracolo era possibile grazie all’acqua, capivo che quello che avevo scritto sul recupero dell’acqua al Progetto Gaia era veramente importante, che non esiste nulla senz’acqua, né questo computer, né io che scrivo né voi che leggete. Mi tornavano in mente gli esperimenti di Masaru Emoto sulla coscienza dell’acqua, poi la mente si svuotava e lo sguardo si dirigeva ancora a quegli alberi secolari, ai pappagalli coloratissimi e a quel fiume talmente grande da far impallidire il mare. Quel pomeriggio, mentre per la prima volta in vita mia tremante di emozione solcavo le acque del Rio delle Amazzoni insieme ad altri 20 esseri umani piccoli, anzi, minuscoli, di fronte a quello spettacolo tanto maestoso, piansi d’emozione.
Poi arrivai a Puerto Nariño, passai li la notte, andai nella Comunità indigena di San Martín, conobbi un ragazzo indigeno, Armando, feci con lui e un altro ragazzo la mia prima spedizione nella foresta vergine, dormii nella foresta, sentii il giaguaro a pochi passi da me, ebbi paura, superai la paura, rimasi senza fiato, vidi serpenti, scimmie, tartarughe, mantidi religiose, termiti, bradipi, sentii il mio cuore vibrare come non mai. Scrissi due piccoli post: Amazzonia! e L’inconscio e la voglia di distruggere l’Amazzonia, ma vi prometto che scriverò poi quello “vero”, in cui riporterò una ad una le parole che scrissi sulla barca, a penna, mentre le pagine si bagnavano di schizzi d’acqua e lacrime di commozione. Andare in Amazzonia, se ci vai per davvero, se ti immergi nella loro cultura, se ti immergi…NEL FIUME! Se superi tutte le sciocche paure che ci mette questa società occidentale, ti cambia per sempre.
Sembra finita la storia, vero? Eh, no, manca ancora l’ultimo tassello.
Prima di partire per l’Amazzonia ero andato a Villa de Leyva, in una sorta di ritiro spirituale per preparare il viaggio. La sera di lunedì 11 maggio 2015, sul pullman per Bogotá salì una ragazza molto molto carina e si sedette al mio fianco, nell’unico posto rimasto libero. Rimasi senza fiato per quanto era bella. Inoltre…si era seduta proprio al mio fianco! Aveva un viso splendido, un misto di lineamenti europei ed indigeni, non le avevo ancora rivolto la parola e già ero affascinato. Quasi tremavo di emozione. Le volevo parlare ma non sapevo cosa dire. Allora tirai fuori dallo zaino il mio computerino ACER e, che fece lei? Fece lo stesso. Dal suo zaino, tirò fuori un altro computerino ACER, uguale al mio! Ci guardammo e scoppiammo a ridere. Ci presentammo, si chiamava Laura. Parlammo per tutte le quattro ore del viaggio, decidemmo di scendere a Bogotá nello stesso punto, parlammo ancora, ci scambiammo il numero. Io andai in Amazzonia, le scrissi tutti i giorni, quando mi trovai nella foresta dove non funzionavano i telefoni non smisi di pensare a lei neanche un secondo. Lei fece lo stesso. Non appena tornato uscimmo insieme e ci fu il primo bacio. Sarei dovuto partire da li a poco, ma mi fermai un altro mese, uno splendido mese in cui capii che tutto era andato esattamente come doveva andare. E’ proprio vero, come avevo scritto in tempi non sospetti, che le cose accadono per una ragione e pure che la vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti.
Un saluto da parte mia e di Laura, che presto mi verrà a trovare in Italia. Ed eccoci qui…dove…se non a…Villa de Leyva? E ora qualche foto.
signore e signori…il computerino Acer!
La Libreria esoterica “El Arcano”, dove trovai il libro di Medina
Con Gian Marco di fronte al museo (è lui che è alto…) (giuro!)
In bici. Dinosauro…arriviamooo!
“Scusi pecora, può guardare qui che ci facciamo un selfie?”
Suonare in strada non fa più paura….
…campagna a Villa de Leyva (e case coi nomi propri)….
…bambini che discendono il fiume su un pneumatico, Pozo Azul, San Gil.
…la strada che porta alla casa di Juan Camilo Medina, a Neiva….
…Juan Camilo alle prese con la mia chitarra…
…Deserto del Tatacoa…
….Deserto del Tatacoa, in bici…
….Deserto del Tatacoa….ehm….senza più bici….
…albero coi capelli (Villa de Leyva, il giorno prima di partire per l’Amazzonia)…
….E poi…Amazzonia…
…..spedizione nella foresta vergine, la prima parte in barca:
…l’ultima sera a Puerto Nariño…tramonto sul Rio delle Amazzoni….
…capatina in Brasile…
Grazie di cuore per avermi letto, appuntamento al prossimo Spiraglio!
Elvio
Un ringraziamento speciale va a Roberta Rosa, per avermi ispirato un passaggio fondamentale di questo post.
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Bellissimo tu e il tuo viaggio. Grazie dei tuoi racconti e di te:-)
grazie mille…e grazie a te per seguirmi con tanto entusiasmo, sempre!
Grazie, girando tra un link ed un altro ho aperto questo tuo spiraglio e ti ringrazio. Ne leggerò ancora, buon viaggio, quello vero, quello lungo tutta la vita 🙂
Grazie mille Nuke, esatto…quando mi dicono “quando parti” gli rispondo che sono partito 36 anni fa. Hehehe
che emozioni caro Elvio! I nostri tg definivano la Colombia come un territorio narcos da stare alla larga e tu in pochi mesi hai fatto ricredere tutti i notiziari mondiali! Questo è un vero e proprio paradiso sulla terra! Un abbraccio forte Elvio!
Ciao Daniele, in Colombia dicono “el riesgo es que te quieras quedar”, cioè: l’unico rischio che corri, è quello di non voler più andar via.
Lunedì prossimo, 6 febbraio, pubblicherò un nuovo articolo sul fatto se viaggiare in Colombia sia o meno pericoloso, se ti interessa, torna a visitare Spiragli di Luce, ciao!