Ciao a tutti e benvenuti a questo nuovo Spiraglio.
Quella che vedete qui sopra é la celebre Casa de barro (casa di fango) e si trova a Villa de Leyva, Colombia.
Villa de Leyva è un paese che amo ed é proprio qui, tra l’altro, che scattai la foto con la strada e le case bianche, quella che, per un certo tempo, è stata in alto come copertina del blog.
Sono qui da ieri e proprio oggi sono stato a visitare la casa de barro…non potevo quindi non mettere una foto di questa meraviglia! Ma non è di questo che voglio parlarvi: oggi voglio raccontarvi tre storie.
Mi sento di condividerle, perché oltre a farmi riflettere, mi hanno commosso ed emozionato. Via con la prima!
Due monaci zen, Tanzan ed Ekido incontrarono vicino a un villaggio una giovane donna che cercava di attraversare la strada, ma c’era così tanto fango che avrebbe rovinato il kimono di seta che indossava.
Tanzan senza esitazione la prese in braccio e la portó dall’altra parte. I monaci proseguirono in silenzio. Cinque ore dopo, nelle vicinanze del tempio che li avrebbe ospitati, Ekido non fu più capace di trattenersi.
“Perché hai portato quella ragazza al di là della strada?“ chiese. “Si suppone che noi monaci non facciamo cose simili.”
“Ho deposto la ragazza cinque ore fa” disse Tanzan.
“Tu la stai ancora portando?“
E noi?
Quanto vogliamo ancora aspettare prima di deporre la ragazza? In altre parole: per quanto tempo ancora ci vogliamo portare appresso il peso, il fardello, la zavorra del nostro passato? Non verrò a dire qui che il passato non esiste o che è un’illusione, come ho sentito a volte. Il passato ci può fare da maestro, insegnandoci a non ripetere vecchi errori. Il problema è però quando prende il sopravvento su tutto il resto, influisce sulle scelte di oggi ed oscura la magia del presente.
Avete mai sentito qualcuno dire: ma perché sempre a me?”
È possibile che chi dice “sempre a me” tenda in qualche modo a risvegliare e far rivivere in sé (e intorno a sé!) il passato. Come il monaco Ekido, rimugina su avvenimenti che ormai esistono solo nella sua testa e si perde cosí il percorso, il paesaggio, la magia del presente.
Che ne dici…la deponi anche tu la ragazza del racconto senza portartela dietro per le prossime cinque ore?
Via con la seconda storia:
Un uomo saggio vinse un’auto di lusso alla lotteria. I suoi amici e la sua famiglia erano molto contenti per lui e vennero a celebrare l’avvenimento dicendogli quanto fosse fantastico, quanto fosse stato fortunato. Ma l’uomo sorrise e rispose solo: “Può darsi” e per un paio di settimane si divertí a guidarla.
Ma un giorno a un incrocio un guidatore ubriaco si scontrò con la sua nuova auto e lui finì all’ospedale con ferite multiple. Sia la sua famiglia sia i suoi amici vennero a fargli visita e gli dissero quanto fosse stato sfortunato. Ma di nuovo l’uomo rispose sorridendo: “Può darsi“.
Una notte, mentre si trovava ancora in ospedale, vi fu una frana e la sua casa scivolò in mare. Di nuovo i suoi amici gli dissero quanto fosse stato fortunato ad essere in ospedale.
E di nuovo l’uomo rispose: “Può darsi“.
Questa mi fa pensare ad un’altra storia che mi raccontarono qualche tempo fa: un uomo d’affari che si arrabbió moltissimo per aver perso il suo volo. Imputó la colpa alla compagnia aerea che gli aveva causato un ritardo e piantó un vero e proprio scandalo in aeroporto, chiedendo a gran voce un rimborso e minacciando denunce. Stava ancora dando in escandescenze quando arrivó la notizia che l’aereo su cui avrebbe dovuto viaggiare era precipitato.
Quel ritardo che tanto lo faceva disperare fu in realtá la sua salvezza. Sicuramente é molto estremo come esempio…ma…e se provassimo come ho giá scritto nel secondo intermezzo a giudicare meno? Non mi riferisco solo a giudicare gli altri, ma anche ció che ci accade, le situazioni che si presentano nel presente. Dopo quello che abbiamo appena letto, siamo cosí sicuri di cosa possiamo definire buona notizia e cosa cattiva notizia?
Ed ora la terza, ed ultima, storia:
In un pomeriggio grigio e freddo, due bambini pattinavano senza preoccupazione sopra un lago ghiacciato. All’improvviso il ghiaccio si ruppe e uno dei due cadde nell’acqua gelata. L’altro, senza perdersi d’animo, prese una pietra ed iniziò a colpire il ghiaccio con tutta le sue forze, finchè non riuscì a romperne un altro pezzo e salvare, così, il suo amico.
Quando arrivarono i pompieri e videro cosa era accaduto si domandarono alquanto stupiti: “Come è riuscito a farlo? Il ghiaccio è molto spesso, è impossibile che abbia potuto romperlo con solo questo sasso e le sue mani tanto piccole”.
In quell’istante apparve un anziano e, con un gran sorriso, disse: “Io lo so come ha fatto”. “Come???” gli chiesero i pompieri increduli.
“Semplice” rispose “Non aveva nessuno intorno che gli dicesse che non avrebbe potuto riuscirci“.
Da maestro di canto quale sono non posso far altro che confermare questa storia: la maggior parte del lavoro che faccio con i miei allievi non consiste nel “insegnare” loro qualcosa, bensì nell’inventarmi dei trucchetti per far sì che si lascino andare, che non si auto-limitino: se un neonato di quattro chili riesce a strillare per ore a un volume impressionante senza perdere la voce qualcosa mi dice che anche un adulto, se vuole, ce la può fare.
Avete presente, inoltre, la cosiddetta “fortuna del principiante“? I principianti hanno fortuna per un motivo sconosciuto e misterioso o semplicemente, essendo per loro la prima volta, sono a cuor leggero, non gli importa del risultato, non si giudicano…e quindi riescono?
Non so perché ho scelto queste tre storie. Forse perché me le sono trovate davanti in questi ultimi giorni. E perché mi saranno capitate proprio queste tre? Potrebbe essere che sono collegate? Chissà.
Forse se smettiamo di caricarci sulle spalle il fardello del passato e contemporaneamente cessiamo di giudicare il presente, allora potremmo diventare come quel bambino: capaci di imprese miracolose, seppur piccoli e deboli come siamo. Si, forse il senso potrebbe essere questo.
Vi saluto con un abbraccio pieno di luce colombiana, quella che ho visto stasera, al tramonto, presso la casa di barro.
Arrivederci al prossimo Spiraglio.
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