Un saluto di cuore e benvenuti all’ottavo spiraglio.
In questi giorni ho riflettuto sul sottotitolo bel blog “crescita personale, spiritualità, auto-guarigione e viaggio” e mi sono chiesto se sia una buona descrizione (o meno) dei temi che tratto nel blog.
Viaggiare, attraverso l’uscita dalla routine e le nuove esperienze, può essere un modo per conoscersi e prendere coscienza di quelle parti di noi che magari non sospettavamo neppure di avere. In altre parole ti fa crescere, ecco perché “crescita personale“…ti fa andare al di là delle abitudini, entrare in contatto con la profondità che alberga dentro di noi e, dunque, ci mette in contatto con la nostra parte spirituale.
Infine è conoscenza del mondo intorno a noi e di come noi interagiamo con esso, è rinnovamento e nel mio caso persino rinascita. Dove qualcosa nasce (ce lo insegna la carta dell’appeso nei tarocchi) qualcos’altro muore: muoiono le parti peggiori di noi, muoiono le malattie morali e fisiche, sei tu che in qualche modo guarisci te stesso, ecco perché “auto-guarigione“.
Io sono guarito da un dolore cronico alla spalla che secondo i medici mi avrebbe permesso di fare solo “nuoto e ginnastica dolce“: conseguentemente allo scatto in avanti che fece la mia mente e il mio cuore ripresi a Bogotà gli allenamenti di Kung fu due ore al giorno sette giorni su sette, tutt’ora mi alleno e la spalla non mi ha mai più dato fastidio. Scrivo il blog per continuare a urlare ciò che sento essere vero oltre ogni ragionevole dubbio: se abbiamo fiducia, tutto è possibile.
Ma come sono arrivato a questo rinnovamento? Attraverso varie tappe: la prima di queste è stato un viaggio che sto raccontando a puntate, dalla capitale Bogotà fino al Mar dei Caraibi. In questa quarta puntata è giunto il momento di immergerci nelle meraviglie del Parco Nazionale Tayrona. Il Parco deve il nome agli indigeni Tayrona, fondatori di Ciudad Perdida, uno dei siti archeologici più affascinanti di tutta l’America Latina. Situato su una superficie di 15 mila ettari a circa un’ora di viaggio da Santa Marta, è un vero e proprio paradiso naturale ricchissimo di flora, fauna, spiagge e paesaggi indimenticabili. Per raggiungerlo salimmo di primo mattino su un autobus che partiva dal mercato cittadino, la corsa durava un’ora e terminava a El Zaino, una delle entrate del Tayrona: qui facemmo il biglietto e ci rifornimmo di viveri e acqua. Un altro piccolo autobus ci trasportò per il primo tratto, un paio di chilometri. Da lì in poi si poteva solo proseguire a piedi: l’entrata dei mezzi a motore non è (giustamente!) consentita nel parco. Questo l’imbocco del sentiero:
Da qua in poi è pura meraviglia: il Tayrona è una progressiva immersione in un luogo fuori dal tempo, un piccolo paradiso in cui una natura selvaggia e impenetrabile offre allo sguardo dei visitatori tutte le sue bellezze. Si cammina tra uccelli di tutti i tipi, farfalle dai mille colori e rettili, immersi nel canto di una particolare specie di insetti i quali, aggrappati e nascosti da qualche parte tra gli alberi, creano come le nostrane cicale una specie di sottofondo dolce ma continuo, una sorta di muro di suono benevolo ma costante (si sentirà nel video qui sotto!) che ricorda a noi uomini quanto in questo ambiente siamo personaggi di secondo piano, mentre i veri protagonisti sono tutto intorno a noi. Se poi ci si ricorda di alzare la testa verso l’alto, ci si può trovare di fronte al bellissimo spettacolo delle scimmie che vivono libere in mezzo alla natura:
Forse nel video non si vedono chiaramente, ma gli oggetti volanti che cascano dagli alberi erano ramoscelli che le scimmie ci tiravano addosso, per farci notare che non eravamo esattamente i benvenuti. Lasciati quindi i primati in santa pace, riprendemmo la marcia tra le mille sfumature del verde equatoriale per arrivare alla prima spiaggia. Quando ci arrivi, ecco che cosa ti trovi di fronte :
La tentazione di fare un bagno era grande ma un cartello che diceva “attenzione su questa spiaggia sono morte più di cento persone” ci convinse a cercare acque più sicure. Giunto che fu il tramonto decidemmo di trovarci un posto per la notte, il parco è ricco di alloggi di lusso come questi :
ma noi optammo per una sistemazione più alla portata delle nostre tasche:
lo stanzone poteva contenere fino a 50 persone, ma quella notte era vuoto, quindi si può dire che dormimmo in una grande camera singola con amache al posto dei letti, zanzariere al posto delle pareti e il rumore del mare a farci da ninna nanna. La mattina dopo una bella oretta di yoga, una meditazione e poi via verso Cabo San Juan. Una volta arrivati cercammo un posto dove mangiare, ci riposammo, facemmo il bagno, ci lasciammo cullare dalle onde, insomma, quello che a pieno titolo si può definire il dolce far niente. Ma non troppo, infatti, l’ultimo autobus per Santa Marta passava poco dopo il tramonto: impensabile perderlo! E così dopo pranzo riprendemmo la strada del ritorno e curiosamente a un certo punto la mia attenzione fu attirata da questo cartello:
Credo che non ci sia bisogno della traduzione, giusto? Ovviamente pensai: seee, figuriamoci se ci saranno i caimani, il solito annuncio allarmistico per spaventare la gente. E infatti, dopo le farfalle, gli insetti canterini, gli uccelli e le scimmie…come potevamo lasciare il parco senza quest’ultimo incontro?
Salutato il caimano e fatte le mie scuse per non aver creduto nella sua presenza, ci dirigemmo verso l’uscita del parco, riuscimmo a prendere per il rotto della cuffia l’ultimo bus utile (era un bus da venti, venticinque posti su cui oserei dire non eravamo meno di cinquanta….) e rientrammo in città. Mancava poco al ritorno a Bogotà, ma non potevamo certo abbandonare la regione Caribe senza vedere la Sierra Nevada de Santa Marta.
E così, la mattina dopo, partenza per Minca. Raggiungibile con una corsa di tre quarti d’ora di taxi-moto, Minca è un incantevole villaggio situato a 700 metri d’altezza sulle pendici della Sierra, ha un clima più mite rispetto alla calura della costa ed è un buon punto di partenza per le escursioni sulle vette. L’ostello (che consiglio caldamente) si chiama Casa Loma (casa sulla collina) ed è in realtà un insieme di casette di legno da cui si può godere di spettacolari tramonti. Ecco la nostra camera…
La prima sera a Minca, mentre bevevamo due mojitos conobbi Giovanni, un ragazzo di Pavia che da dieci anni vive in Colombia: aveva appena comprato un terreno in cima a una collina a quaranta minuti a piedi dal villaggio e stava per iniziare a costruirsi casa. Ogni volta che ascoltavo una notizia del genere mi entusiasmavo sempre più. Allora è possibile! – mi dicevo…
La mattina dopo fummo svegliati alle sei (ma forse anche prima) dalla musica a tutto volume di un vicino….poco male: un motivo in più per alzarsi, godere del fresco e fare colazione. Una volta scesi in paese, cosa potevo fare se non cercare una moto? Beh, non ci crederete ma la trovai: il moto-taxista con cui stavo trattando non ne voleva sapere di accettare i miei 30 mila pesos dicendo che in un giorno lui ne faceva anche 100 mila portando la gente a spasso…al che io gli dissi: hai ragione, ma così ti tocca lavorare tutto il giorno, mentre se la dai a me, stai al bar con gli amici e comunque guadagni qualcosa. Il sorriso che si accese sul suo volto mi fece intendere che avevo colto nel segno così, moto-muniti, iniziammo la scalata alla Sierra Nevada, da Minca si può raggiungere Los Pinos a 1800 metri d’altezza…era bellissimo andare in due per quei sentieri sterrati e malandati in cui potresti cadere da un momento all’altro ma in fondo, dentro di te, sai che non cadrai. A metà strada incontrammo Giovanni che se ne tornava verso il villaggio, non poteva accompagnarci ma ci spiegò dov’era il campo su cui sarebbe sorta casa sua. Andammo a scuriosare e….uno spettacolo! Il terreno era sulla sommità di una collina da cui si vedevano le vette di tutta la Sierra Nevada. Incredibile.
Vi risparmierò i particolari relativi alla diarrea del viaggiatore che mi colpì quel giorno…quando si viaggia in paesi lontani può accadere, ma attenzione: a me accade sempre quando c’è di mezzo una moto. Nel 2008 in Perù mi aveva colto niente poco di meno di quando avevo deciso di tentare la traversata Cuzco – Machu Pichu in moto, 500 km complessivi e quasi 5000 metri di quota nel punto più alto…in confronto i disagi di quel giorno sulla Sierra furono, tzé, bazzecole…
…beh, finito il racconto di Minca, finito il viaggio. Il giorno dopo saremo rientrati a Bogotà. A me rimaneva solo una decina di giorni e poi via, aereo per l’Italia. Un pugno di giorni per essere felici, essere ancora insieme e poi di nuovo 12 mila chilometri ci avrebbero separato: la sola idea mi terrorizzava, ma non era solo allontanarmi da lei…sentivo che in qualche modo quell’esperienza non era completa. Se viaggiare è conoscersi io mi stavo conoscendo, stavo conoscendo un me stesso che iniziava a prendere in considerazione l’idea che la vita non fosse un’esperienza dura e triste con in mezzo qualche pausa di tranquillità, ma che addirittura potesse essere un’esperienza allegra e serena, un’esperienza entusiasmante, in cui se abbiamo fiducia, tutto è possibile. E nel caso in cui non l’avessi detto abbastanza, lo ripeto: se abbiamo fiducia, TUTTO È POSSIBILE.
Con l’immagine del sole che tramonta su Minca, vi abbraccio. Arrivederci al prossimo Spiraglio.
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Che spettacolo di paesaggi, che parco!(Parco?Ma sarà adatto chiamarlo parco??)
All’improvviso mi è venuta voglia di estate, chissà se non è questo il raggio di sole, l’energia, la felicità che dovrebbe essere quotidianamente in noi, di cui parli.
Vedere certi luoghi incantevoli è un privilegio. Un dono.
E io sono sempre più convinta che il contatto con la natura sia fondamentale per il benessere dell’uomo.
Un abbraccio
Il raggio di sole può assumere sicuramente tante forme, il danzare delle onde di fronte a noi e quello degli animali sugli alberi sopra le nostre teste…o magari una sensazione di quiete che si accende da qualche parte dentro di noi.
Sono d’accordo con te! La natura in qualche modo possiede già tutto ciò che cerchiamo, ci può far stare bene e insegnare molto, se impariamo ad osservarla! Un abbraccio!