Un caloroso saluto a tutti e benvenuti alla seconda parte del viaggio.
I primi giorni a San Gil scivolarono via docili, piacevoli e (ricerca della moto esclusa) lisci come l’olio.
Le mattine iniziavano con un tuffo in piscina seguito da colazioni in grande stile, i pomeriggi in giro a visitare la cittadina e a comprare gustosa frutta tropicale dalle numerosissime bancarelle del centro, le sere a cenare in qualche bel ristorantino tipico, poi a bere qualcosa od ad oziare nel Parque, la piazza centrale della cittadina. Se ti sei perso tutto ciò lo racconto nell’ultimo Spiraglio: Da Villa de Leyva a San Gil – La lunga strada verso i Caraibi (prima puntata).
Fu proprio nel Parque che assistetti al primo inseguimento della mia vita colombiana : un poliziotto-motociclista che inseguiva un ladro. Quest’ultimo se la dava a gambe levate per i vialetti della piazza e per mettere in difficoltà il centauro cambiava continuamente direzione, riuscendo a ogni cambio a distanziarlo di qualche metro. I ragazzi che come noi prendevano il fresco sulle panchine sottolineavano le fasi concitate dell’inseguimento con un misto di “Oooohhhh” e “Aaaaahhh” uniti a risate e schiamazzi: non sembravano certo parteggiare per il poliziotto, ma non si sarebbe detto neppure che fossero preoccupati per il fuggitivo. Comunque sia, questi fu alla fine acciuffato. Fine della fuga e fine della giornata per noi : il mattino dopo avevamo previsto di partire per una delle più incantevoli località del paese: Barichara.
Barichara è un paesino coloniale che non dista molto da San Gil. Credo che non fosse più di un paio d’ore di autobus. Nonostante la relativa vicinanza, il clima diventava più secco e arido, il che rendeva le risorse idriche piuttosto scarse e il paesaggio semi desertico. Alloggiammo nell’ostello del fratello (o del cugino?) del proprietario del Sam’s Vip Hostel di San Gil : un ragazzo tranquillo e gentilissimo. Le camere erano ospitali e il bagno aveva niente poco di meno che un albero al suo interno.
E se non ci credi….
Ci fermammo solo una notte, per fare ritorno in giorno successivo a San Gil. Ricordo che non c’era tantissimo da visitare. Certo, se il Signor Tigre mi avesse affittato la moto, sarebbe stato più facile spostarsi (vedi spiraglio precedente) e probabilmente avremmo trovato posti stupendi, mannaggia! Comunque sia, anche “solo” per vedere il centro del paese, camminare tra le case in stile coloniale, immergersi nel silenzio e nella tranquillità, arrampicarsi fino al Santuario da cui ammirare un panorama mozzafiato…Barichara val bene una visita. E spero che quest’unica foto salvatasi dalle 500 perse insieme al cellulare, renda l’idea… (ma vi assicuro che è ancora più bella!)
Una volta rientrati a San Gil, decidemmo di andare alla ricerca della cascata Juan Curi, che ci era stata descritta come uno spettacolo da non perdere. Alta 120 metri, la cascata è situata a 22 km sulla strada per Charalà. Scesi dall’autobus, ecco chi trovammo ad accoglierci:
Salutato il pennuto, ci incamminammo per un sentiero completamente immerso nella natura. Arrivammo dopo circa 40 minuti e quasi non riuscivamo a credere ai nostri occhi : i 120 metri della cascata si ergevano di fronte a noi, era uno spettacolo veramente unico. Subito sotto c’era una pozza larga una decina di metri e abbastanza profonda da potersi tuffare. Non posso certo dire che l’acqua del fiume fosse calda, ma non resistetti alla tentazione di farmi un bagno. E dopo il bagno, una bella meditazione…
Quello al centro della foto sono io. Sarò sincero: era così difficile sopportare l’acqua che cascava da così in alto, e dava la sensazione quasi di tagliarti la palle, che resistetti solo pochi istanti, il tempo della foto. Eppure, anche se non fu una vera e propria meditazione, cogliere la potenza della natura, sentirsi piccoli e vulnerabili eppure in qualche modo accolti all’interno di essa e non più un elemento esterno e perturbatore, mi regalò un’emozione splendida. Rientrati ancora una volta a San Gil, partimmo il giorno seguente per il Parco nazionale del Chicamocha.
Il Chicamocha è un fiume che ha scavato nei millenni un Canyon dalle dimensioni impressionanti. Sulla sommità c’è una funivia che lo attraversa e un parco di divertimenti con attrazioni legate al mondo degli sport estremi. Ricordo il columpio, un’altalena gigante, con braccia lunghe una decina di metri che ti dondola sull’abisso. Il Canopy che consiste nel lanciarsi imbragati e appesi a un filo sulla pendice di un monte fino a raggiungere velocità folli (in Italia esiste Il volo dell’angelo sulle Dolomiti Lucane). E poi gli immancabili Buggies, macchinette che non si fanno certo spaventare da buche e strade sterrate e con la quale la mia ragazza provò una sorta di decollo delle pendici della montagna…
Dalla regione di Santander ci saremmo poi spostati a Santa Marta, una bella città nel Mar dei Caraibi. L’ultimo pomeriggio prima di partire visitammo Villa Nueva un piccolo paese che avevamo visto nella strada per Barichara. Non c’era un granché da vedere, ma fu ugualmente interessante. Desideravo uscire dai luoghi turistici e vedere come poteva essere la vita di un paese rurale, lontano dai luoghi indicati sulle guide. Rimanemmo solo un paio d’ore e poi salimmo sull’ultimo autobus per tornare a San Gil. L’autista sintonizzò la radio sulla Messa (il sentimento cristiano e cattolico è molto diffuso in Colombia) e partì. Seduti sui sedili in fondo, guardavamo il paesaggio fuori dal finestrino, sussultavamo ogni qualvolta l’autobus prendeva una buca, ci scattavamo foto e ci abbracciavamo. La nostra non era certo una situazione semplice : io italiano con progetti di vita in Italia, lei colombiana con progetti di vita in Colombia e con una figlia che non le permetteva di avere la stessa libertà mia di decidere dove viaggiare e magari vivere.
Va anche detto però che proprio là ho iniziato a capire quanto a volte non è indispensabile avere dei limiti “veri” per non fare le cose : spesso siamo noi stessi a crearli anche laddove non esistono!
Comunque sia, io la amavo e desideravo trovare un modo per poter stare vicini. Andare entrambi in Italia avrebbe significato per lei lasciare tutto ciò che aveva e al momento non sembrava possibile, entrambi in Colombia avrebbe significato al contrario che io lasciassi tutto ciò che avevo “costruito” ed anche questa soluzione non riuscivo a vederla credibile. Della terza, quella che suggerisce credo Jodorowski, e cioè di puntare un dito a caso sul mappamondo e decidere un paese che non fosse quello di nessuno dei due, nemmeno a parlarne. Insomma, nonostante i forti sentimenti che provavo, il futuro appariva come un grande punto interrogativo e ciò mi faceva soffrire non poco. In qualche modo però, avevo già capito l’importanza di vivere il presente e così, tutte le volte in cui mi nasceva la paura per la nostra imminente separazione cercavo di riportare l’attenzione sui suoi occhi, sulle nostre mani intrecciate, sul nostro essere insieme : anche se il futuro si presentava incerto mi ripetevo che una soluzione si sarebbe trovata. La sfiducia in me stesso in quel mese di luglio 2013 era ancora ben presente, eppure era come se, a poco a poco, dentro di me iniziasse a farsi strada qualcosa di nuovo. All’epoca era poco più di una sensazione ma iniziavo già a percepirla. Erano i primi segnali di quella potentissima arma che tutti abbiamo a disposizione, che pervade l’intero universo e che si chiama fiducia. Non sapevo nè come nè perchè, eppure da qualche parte nelle profondità della mia anima una voce iniziava a sussurarmi sempre più insistentemtne che era possibile lasciarsi andare, che potevo fidarmi.
E così l’ultima immagine che ho di San Gil è quel viaggio in autobus abbracciati, alle prese con una speranza a cui non avrei saputo dare né nome né forma, ma che sentivo la necessità di coltivare. Il giorno dopo saremmo partiti per il mar dei Caraibi. Ricordo il passaggio dalla città di Bucaramanga e poi la notte che arriva, come dice Shakira, “a las seis”. Ricordo il buio, il sonno e il risveglio alle sei del mattino, alla stazione degli autobus di Santa Marta.
Arrivederci al prossimo spiraglio.
…e se questo ti è piaciuto…dagli un mi piace! grazie
e vuoi vedere l’itinerario che abbiamo fatto, ecco la mappa!
Come prosegue la storia? La trovi qui: La lunga strada verso i Caraibi – Sulla vita e sull’Amore
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